Caverna d. Leopoldina / F. X. K. / 18. XI. 1900. È questa scritta color rosso cupo a darti il benvenuto non appena scendi la verticale del primo pozzo di quasi diciotto metri di una delle grotte più belle di questo territorio. Una scritta che profuma di tempi antichi, di persone che non hai mai conosciuto e che sai non esserci più, ma che un poco del loro spirito lo hanno lasciato qua sotto, come stai facendo tu ora. L’unica testimonianza scritta di esplorazioni d’altri tempi in questa grotta che, straordinariamente per quanto stranamente, non viene nominata in alcun documento a noi conosciuto.

È una grotta che, come tante altre, ha visto e vissuto la Storia. Il suo respiro si leva fresco sul bordo di un bosco di pini da una fessura lunga dodici metri e mezzo, larga quattro. Dopo il pozzo verticale d’entrata la grotta preferisce continuare orizzontalmente verso sudovest. Ti fa entrare attraverso un passaggio stretto per poi offrirti centotrenta metri di canale fiabesco decorato da una varietà di speleotemi che intrecciano le proprie storie e le proprie gocce.

Tra vaschette, stalattiti, stalagmiti, cannule, coralloidi, eccentriche, vele e colate, il buio illuminato genera ombre danzanti e misteriose. A capo e in coda, come sontuose sentinelle di bianca pietra, si ergono per tutta l’altezza eleganti colonne di cristalli di calcite.

L’unico canale laterale conosciuto, lungo una quindicina di metri, gira invece verso settentrione e, per non essere da meno, offre l’unico pozzo interno, una verticale di cinque metri che termina in una frana di pietre.

Buio, aria fresca sulla pelle, rumore cristallino di gocce, odore tipico di guano, un battito d’ali nell’oscurità. È qui che uscendo stai lasciano un poco di te.

Scritto da Jasmina